LA STORIA - giovedì 5 dicembre 2024
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I primi contatti del re Vittorio Emanuele e di Badoglio con gli Alleati per una resa italiana sono cauti ed incerti. Approfittando del lento procedere della resa e della situazione di impotenza disarmata dell’Italia, gli eserciti tedeschi, con il pretesto di rafforzare le difese del sud, valicano il Brennero, procedono ad una vera e propria occupazione indisturbata della penisola, nonostante le impotenti proteste dell’alleato italiano.
Solo intorno alla metà di agosto, quando ormai la posizione tedesca si è consolidata in tutta Italia, Vittorio Emanuele e Badoglio, fino ad allora preoccupati di ottenere le migliori condizioni della capitolazione dagli Alleati e ossessionati dal timore di una vendetta di Hitler, decidono di stringere la trattativa armistiziale. L’armistizio è firmato il 3 settembre 1943 a Cassibile, in Sicilia.
Ma le esitazioni e le paure del re hanno consentito ai tedeschi di impadronirsi senza colpo ferire di tutto il paese, accentuando tra l’altro i sospetti degli alleati, che intanto hanno studiato nuove strategie per affrontare il Terzo Reich, prediligendo l’apertura di un secondo fronte in Europa, a partire dalla costa nordoccidentale della Francia, sacrificando l’Italia, che viene a poco a poco sguarnita di contingenti armati, dislocati in Inghilterra.
L’8 settembre 1943 l’armistizio con gli anglo-americani venne improvvisamente annunciato da un messaggio radio registrato di Badoglio, in quel momento in fuga con la famiglia reale verso Pescara: "Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza".
Dopo un mese di trattative, le massime autorità dello Stato poco o nulla hanno predisposto per preparare il Paese e l’esercito alle conseguenze della resa.
Lo sfasciamento dell’esercito, dopo l’annuncio, diventa quindi incontrollabile: la grande maggioranza dei reparti nell’Italia centrale e settentrionale, come le unità operanti all’estero, sono catturate dai tedeschi. La resistenza armata si riduce a pochi episodi per iniziative autonoma di singoli ufficiali. Le truppe, stanche, sfiduciate, malnutrite, malvestite, tendono a disperdersi, a cogliere l’occasione per disertare dai ranghi di un esercito su cui pesano anni di sconfitte, frustrazioni e sofferenze. Gli stessi comandanti delle varie piazze lasciano via libera ai Tedeschi. La parola d’ordine “tutti a casa” sovrasta gli appelli disperati ai soldati che gli antifascisti lanciano in quei frenetici giorni in cui, dopo alcune eroiche fiammate, cala sull’Italia la pesante cortina dell’occupazione tedesca.
A Milano, a Torino, come in Abruzzo e in Venezia Giulia, i tentativi di Resistenza si spengono in pochi giorni, dominati dall’improvvisazione e dall’iniziativa individuale. Il senso di scoramento e depressione di un paese passivo, ormai stretto nella morsa degli eserciti invasori, non segna però un punto di riflusso per l’antifascismo. Molti storici indicano proprio nell’8 settembre il momento di svolta significativa nella vicenda antifascista, “la vera data di nascita – dice Quazza – dell’antifascismo come forza decisiva, come alternativa politica alla soluzione offerta da casa Savoia alla crisi del fascismo”.
Il comitato di liberazione, costituitosi a Roma il 9 settembre, lancia un appello alla lotta e alla resistenza, esprimendo una netta contrapposizione alla politica della viltà e della fuga della monarchia, incarnando la volontà dell’altra Italia, l’Italia del riscatto. La volontà di rottura si esprime in un lavoro clandestino di organizzazione della resistenza armata, in ogni parte d’Italia, in un movimento, senza precedenti nella storia del paese, che sarà l’anima della liberazione.