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LA MEMORIA - mercoledì 6 novembre 2024 

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[L' ECCIDIO]

Il ruolo dei collaborazionisti

I fascisti locali le guide delle SS tedesche

All’epoca Sant’Anna era ancora più defilata e di difficile accesso di quanto lo sia oggi; per raggiungerla si dovevano percorre le vecchie mulattiere che da Valdicastello (Pietrasanta) e dal versante di Stazzema vero e proprio raggiungevano il villaggio di Sant’Anna dopo almeno due ore di difficile e faticosa marcia. Fu proprio questa caratteristica che spinse nell’estate del 1944 un migliaio di sfollati a raggiungere questi luoghi ritenuti praticamente inaccessibili.
Eppure il 12 agosto 1944 Sant’Anna venne circondata da quattro colonne SS tedesche.
Le quattro compagnie si mossero dalla zona di Pietrasanta intorno alle tre di notte percorrendo quattro diverse direttrici e raggiungendo verso le sei del mattino la vallata del paese. La salita fu pertanto compiuta durante la notte, e fu quindi essenziale la guida di italiani, per lo più versiliesi, profondi conoscitori dei luoghi, per raggiungere i vari borghi del paese.
Alcuni superstiti dell’eccidio hanno rilasciato precise testimonianze in merito all’operato di questi italiani rinnegati. Individui col volto coperto, che parlavano italiano, addirittura in dialetto versiliese.
Con la partecipazione attiva alle stragi dell’estate 1944, i fascisti scrissero la pagina più infame della loro collaborazione con l’occupante nazista, dopo essersi già macchiati di gravissime colpe, dalla fucilazione di partigiani, alle violenze e ai soprusi commessi ai danni della popolazione.

Dichiarazioni di testimoni oculari, utilizzate durante i processi a carico dei criminali nazifascisti:
“dal punto dove ero nascosto sentivo parlare anche in italiano” (F.B., superstite dell’eccidio).
“Vedi che c’è qui se te sorti! Mi disse un individuo in tuta mimetica che impugnava una pistola, mentre cercavo di uscire dalla casa” ( B.B, superstite dell’eccidio).
“Dai mora! Gridava un milite che trascinava una mucca” (E.M., superstite dell’eccidio)

Enio Mancini , altro superstite, afferma che nel borgo di “Sennari” notò almeno due o tre squallidi personaggi mascherati che parlavano versiliese. “Quando già predisposti al muro di una casa con la mitragliatrice ormai pronta a far fuoco arrivò l’ufficiale nazista che in tedesco impartiva degli ordini per noi incomprensibili uno di questi tradusse in perfetto italiano “via svelti scendete a Valdicastello” ; un altro disse alla nonna che chiedeva di potersi prendere gli zoccoli: “brutta vecchiaccia di ben altro ti devi preoccupare”; un altro, ancora, togliendo la mucca dalla stalla la sollecitò: “dai mora”.”
Le sorelle Alba e Ada Battistini più volte hanno testimoniato il particolare di un bue ferito con un colpo di pistola alla testa, non ancora morto, al quale si avvicinò un uomo esclamando: “brutto mostro ‘un voi morì”.
Alfredo Graziani, il 12 agosto 1945, pubblicò una sua memoria del tragico evento nella quale testualmente riportava: “che vi fossero anche italiani, camuffati sotto la divisa SS, e che non fossero pochi, è stato accertato”.
Graziani riportava nella sua pubblicazione anche un brano pubblicato sulla “Nazione del Popolo” 29/6/45 dallo scrittore Manlio Cancogni che testualmente recitava:
“Dei nomi, uno sopra tutti, girano da tempo sulle bocche degli abitanti dell’intera regione e ci si aspetta, forse invano, che prove definitive confermino la verità del sospetto.
Italiani comunque hanno partecipato a esecuzioni del genere in altre parti d’Italia. La mente recalcitra. Italiani che non si limitarono alla infamia opera di spie, di carcerieri, di aguzzini nelle celle dI tortura e nel campi di concentramento, ma che vollero anche ,macchiarsi del delitto più atroce: la strage degli innocenti. «Vollero» è l’espressione giusta, perché non potevano esservi comandati, e comunque avrebbero potuto facilmente sottrarvisi. “Volero”, alcuni per vera deformità morale, ma i più per criminale vanità, per servile bisogno d’imitazione. Volevano non sentirsi minori dei loro Padroni; dimostrare d’essere capaci di ciò in cui loro eccellevano; dimostrarlo a se stessi e a quanti non lo credevano. Volevano partecipare anch’essi al «gioco» senza preoccuparsi se nella posta vi; erano vite umane e la loro stessa anima. Ma non si trattava ,di vite e di anime per loro, come per i tedeschi, incapaci di commozione e gelati dall’indifferenza.
Ma per gli italiani che parteciparono all’eccidio di Sant’ Anna come si può parlare d’indifferenza? Non erano gente venuta da fuori; la regione non era per essi un luogo qualunque di passaggio, privò di memorie e di affetti. L’indifferenza lamentata per gli altri non possiamo ammetterla nei loro riguardi, sé non a patto di riconoscervi un cinismo ancor più terribile. Quello era pur sempre il paese della loro infanzia. Ne conoscevano certamente tutte le pieghe, le forme, i colori e persino quell’odore che ciascuno porta nel proprio animo dovunque vada per ricordarlo e riconoscerlo, nei momenti di maggiore dolcezza. Era il paese nel quale erano cresciuti e a ogni casa, a ogni sentiero, a ogni albero, a ogni volto umano era legata una parte della loro vita. Era uomini più umani che altrove, quelli sui quali . puntarono le armi omicide, case dense della loro stessa vita quelle a cui appiccarono voluttuosamente le fiamme, tenera erba della loro infanzia, accarezzata dai loro passi, quella che intrisero di sangue.
Su quelle pendici, forse, s’erano trovati in altri tempi durante una passeggiata domenicale. Si erano seduti su quelle balze all’ombra dei castagni e abbandonata liberamente la vista alla vallata avevano anch’essi sentito un attimo di struggente felicità. un amore più tenero per le cose, e un pensiero di gratitudine per i beni della vita s’era forse levato da loro cuore.”





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