LA MEMORIA - giovedì 5 dicembre 2024
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Nelle prime ore del pomeriggio, gli uomini, tornati dai loro rifugi, e gli altri pochi sopravvissuti, provvederono a soccorrere i feriti, a trasportarli all’ospedale da campo di Valdicastello e a dare sepoltura ai resti, per lo più carbonizzati, dei cadaveri in fosse scavate negli orti.
Ricorda don Giuseppe Evangelisti:
« La scena che maggiormente dava sgomento era quella della piazza della chiesa: una massa di cadaveri al centro, con la carne quasi ancora friggente; da una parte il corpo di un bimbo sui tre anni, tutto enfiato e screpolato dal fuoco, con le braccia irrigidite e sollevate come per chiedere aiuto, ed intorno lo scenario delle case che mandavano ancora nell’aria baglIori e scoppiettii, la chiesa con la porta spalancata, lasciava vedere un grande braciere al di dentro, fatto con le panche e i mobili, e nell’aria il solito fetore di carne arrostita che levava quasi il respiro e che si espandeva a tutta la vallata.
La sepoltura di queste salme fu fatta il giorno 14 e vi presero parte una trentina di volontari venuti dalla Culla. Fu un lavoro abbastanza difficile e rischioso, specialmente per i grandi nuvoli di mosche, le cui punture avrebbero potuto causare infezioni mortali. Non avevamo maschere, non avevamo disinfettanti. Avevamo solo una piccola bottiglia di alcool e un po’ di cotone per tamponarci il naso.
Anche qui un episodio che ci commosse tutti: fra quei cadaveri c’era una famiglia numerosa, quella di Antonio Tucci, un ufficiale di marina oriundo di Foligno, ma di stanza a Spezia, che con vari sfollamenti si era ritrovato quassù. La sua famiglia era composta da 8 figli (con età da pochi mesi fino a 15 anni) e la moglie.Mentre si stava apprestando la fossa, ecco arrivare il Tucci correndo e gridando come un forsennato, per buttarsi tra quel groviglio di cadaveri: “Anch’io con loro!» urlava. Bisognò immobilizzarlo finché non si fu calmato. Rimase per qualche giorno come semipazzo.
I cadaveri della piazza della chiesa furono 132, fra cui 32 bambini. Altri 8 cadaveri erano dietro il campanile e pare fossero quelli che i tedeschi avevano prelevato in basso per portare le munizioni ».
Nei giorni immediatamente successivi i sopravvissuti, temendo che i nazisti potessero tornare al paese per completare l’opera di annientamento della piccola comunità, si rifugiarono nei ricoveri di fortuna offerti dagli anfratti delle montagne. Per più di un mese, nascosti in grotte, in piccoli metati, nelle gallerie delle vicine miniere, come bestie ferite, ignari di quanto accadeva in Versilia, accompagnati dallo sgomento delle violenze subite, circa 180 persone sopravvissero fra gli stenti, con ortaggi raccolti durante la notte negli orti abbandonati .
Dopo il mese di settembre, con l’arrivo degli alleati, i superstiti fecero ritorno al paese, nelle poche case rimaste integre, o in quelle ricoperte con la paglia per superare i rigori dell’inverno.
Solo dalla fine del 1945, con la Liberazione e la fine del conflitto, fu possibile avviare la ricostruzione del paese. Si ricavarono le travi necessarie dai castagni, furono riattivate le fornaci per produrre la calce, si recuperarono dalla cava d’ardesia le piastre per ricoprire i tetti.
Per cancellare i segni più evidenti del dramma che si era consumato, vennero stuccati i fori dei proiettili sulla facciate delle case, riverniciato l’interno della chiesa, tolte le canne dell’organo mitragliate dai nazisti. Furono opere dettate dall’esigenza, fortemente sentita dagli abitanti del paese nel periodo immediatamente successivo alla strage, di dimenticare l’accaduto e ricreare le condizioni per una vita normale.
Altrettanto forte fu il desiderio di dare degna sepoltura alle vittime. Nel 1945 il Comune di Stazzema bandì un concorso per onorare, con un Monumento Ossario, i martiri dell’eccidio. Molti dei superstiti premevano affinchè il Monumento fosse eretto sulla piazza della chiesa, teatro di uno degli episodi più efferati della strage. Prevalse però l’esigenza di rendere visibile l’opera dai monti circostanti, dalla valle e perfino dal litorale tirrenico. Fu pertanto scelto il Col di Cava.
Nel 1947 cominciarono i lavori di edificazione del Monumento Ossario, dove vennero traslati i resti delle vittime dalle fosse comuni. Il Monumento venne inaugurato ufficialmente il 12 agosto del 1948, nel IV Anniversario della strage.